“Come Direttore dei Lavori sono stato solo l’ultimo tecnico chiamato a dare una forma definitiva all’opera, che però è stata materialmente eseguita da parte di un intero gruppo di progetto che per anni l’ha sognata, ideata, promossa e, a volte, riprogettata.
Il prodotto “CSM-Gorizia” è stato realizzato sotto la direzione operativa dell’ing. Paolo Delpin della tecnoprogetti per la parte strutturale e di prevenzione incendi, dell’ing. Marco Huisman della mhk consulting per la parte impiantistica e del sottoscritto per la parte architettonica e generale, durante la quale ho sempre potuto contare sul supporto dei miei soci: l’arch. Verjano Markezic e l’arch. Maurizio Martinelli.
In particolare desidero ringraziare il capogruppo del team originario, l’arch. Roberto Dambrosi, così anche l’ing. Nicolò Fornasir e l’ing. Paolo Delpin della tecnoprogetti, e l’ing. Marco Huisman ; allo stesso modo ringrazio l’arch. Giovanni Paolo Bartoli, il quale ha tenuto le redini della progettazione fino alla conclusione della fase autorizzativa.
All’ideale ci si avvicina sempre per approssimazione perciò vi chiedo di dare credito al “meglio possibile” che siamo stati in grado di realizzare, anche se una particolare soluzione non è come ve la sareste immaginata. Se è pur vero che l’edificio è stato completato, il progetto nella sua totalità non può però considerarsi concluso. Il CSM continuerà sicuramente ad evolversi nell’interazione con il suo nuovo contesto.
Il modello del CSM, sviluppato in questa Regione a partire dalle esperienze triestine, prevede un’assistenza non più reclusiva ma centrata sull’interazione sociale. Per questa ragione il nuovo centro deve continuare ad evolversi come posto permeabile, sociale, urbano, non separato dalla città.
Adesso sarà il team medico-infermieristico ad essere chiamato a dare forma ad un centro vivo ed operante, aldilà del contributo che ha già dato durante la fase di progettazione.
In un certo senso la psichiatria torna a casa, anche se il Parco Basaglia di oggi non è più lo stesso luogo di cent’anni fa né in termini funzionali, né in termini urbani intesi come rapporto con la città e con il territorio.
1908: il luogo scelto per la costruzione della prima struttura dedicata alla cura di disturbi psichici si trovava in una posizione periferica rispetto al centro abitato di Gorizia, ma lo si poteva definire centrale rispetto al territorio dell’intera Provincia.
Nella letteratura specialistica dell’epoca venne descritto come segue:
Questo bellissimo Manicomio provinciale, modello del sistema a colonia, sorge in splendida plaga; ha per isfondo verdeggianti colline, mentre davanti ad esso si apre la pianura dell’Isonzo. La località è saluberrima..
E più avanti:
A ciascun lato del parco sorgono, circondati da giardini e da siepi sempre verdi, tre padiglioni, destinati a ciascuna delle due Sezioni del Manicomio, maschile e femminile. Lo stile architettonico è sobrio e allieta l’animo con le tinte vive, coi fregi colorati delle facciate e con le verande, che dànno una simpatica impressione di tranquillità familiare.
(A.Tamburini, G.C. Ferrari, G.Antonini: L’assistenza degli alienati in Italia e le varie Nazioni, Torino 1918)
La struttura modello a cui fanno riferimento quasi tutte le progettazioni nell’ambiente psichiatrico a cavallo tra il XIX° e XX° secolo è il complesso di Alt-Scherbitz in Sassonia, costruito a partire dal 1870 e ampliato proprio nei primi anni del 1900.
Al momento della sua inaugurazione, nel 1911, l’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Gorizia era in tutto e per tutto allo stesso livello delle strutture psichiatriche realizzate a Vienna da Otto Wagner – L’ospedale a Baumgartner Höhe inaugurato nel 1907 – e a Trieste a cura di Ludovico Braidotti – L’OPP di San Giovanni inaugurato nel 1908.
Per la realizzazione di tale struttura negli anni 1895, 1896 e 1903 vennero inviati sia alcuni tecnici del Comune di Trieste sia dei medesimi progettisti in un Grand Tour degli istituiti mitteleuropei. Ci si avvalse inoltre della consulenza del dott. Canestrini, divenuto in seguito direttore dell’Ospedale Psichiatrico a San Giovanni. Analogamente il progetto per Gorizia venne sottoposto alla revisione del dott. A. Paetz, direttore del Ospedale Psichiatrico di Alt-Scherbitz, ricambiando la visita.
La contemporaneità delle fasi progettuali dei tre ospedali fa supporre che, anche nel caso di Gorizia, ci siano stati contatti diretti tra i progettisti delle diverse città, o che almeno molte informazioni siano filtrate attraverso gli intensi contatti all’interno dell’allora comunità medica, riguardo ai progetti che si stavano sviluppando. Non va poi dimenticato un altro elemento determinante per le analogie dei progetti che è la posizione di spicco di cui godeva allora la scuola d’architettura di Vienna, capitale dell’impero austro-ungarico, di cui le località in questione facevano parte.
Tutti e tre i progetti prevedono la realizzazione di una serie di padiglioni dedicati a certe patologie, organizzati con impianto simmetrico e ponendo in posizione prominente gli edifici funzionali alla gestione formale dei comprensori: la direzione/amministrazione, la cucina, la chiesa, il teatro. Diversamente le parti più scomode – patologia, cimitero, fattoria – sono state poste, con tipica razionalità ottocentesca, in una posizione periferica. In ognuno di questi progetti lo schema consolidato viene adeguato alle necessità sociali, identitarie e topografiche della città in questione: a Vienna i padiglioni sono di più piani e di aspetto metropolitano e l’impianto culmina in una chiesa sfarzosa e mondana; a Trieste lo stile è più mediterraneo ed è il teatro ad essere centrale, posto sopra alla scalinata a causa della ripidità del terreno; a Gorizia l’assetto invece è quasi rurale, con edifici bassi e la cucina in posizione centrale.
Il Parco Basaglia costituisce, assieme al Parco di San Giovanni a Trieste, una testimonianza storico culturale unica di un certo modo di costruire ospedali psichiatrici a servizio di vaste aree; infatti sono gli unici esempi in Italia di questa tipologia di stampo continentale, o viennese, considerati all’epoca all’avanguardia. Nonostante la qualità del disegno e dell’esecuzione, nonostante quanto il luogo sembri idilliaco, siamo costretti a ricordare che “questo bellissimo manicomio provinciale” era un luogo di segregazione, una vera e propria città dei matti costruita lontano dalla città dei “normali”.
Anche la ricostruzione del comprensorio intrapresa dal regime fascista in seguito ai danni subiti durante il primo conflitto mondiale dimostra quanto questa soluzione progettuale fosse apprezzata; l’intervento non si limitò alla sola ricostruzione, ma propose anche ampliamenti e innalzamenti, come nel caso dell’edificio centrale adibito a cucina.
Durante il secondo dopoguerra venne mantenuto l’assetto funzionale del comprensorio, ma questo risultava ancora più emarginato rispetto alla città, trovandosi a ridosso del confine di stato in una città divisa dalla cortina di ferro.
Con il passare della rivoluzione Basagliana il parco non si trovò più al centro dell’attività terapeutica e nemmeno dell’interesse cittadino.
Solo alla fine della Guerra Fredda e con l’inizio delle collaborazioni transfrontaliere ci si cominciò a rendere conto che si trattava di una specie di periferia interna a margine di più centri abitati, infrastrutturalmente baricentrica e perfettamente adatta a servire vari parti del territorio urbano e periurbano di Gorizia/Nova Goriza.
Evidentemente oggi la riattivazione funzionale di un’area urbana dismessa può avvenire solamente con l’insediamento di elementi di richiamo territoriale e non della sola area in sé; cioè, oltre all’edificio ex cucina, che servirà, quanto Centro Salute Mentale, l’area dell’Alto Isontino, anche una struttura dedicata al pubblico spettacolo, che richiami i cittadini di Gorizia e di Nova Goriza all’interno del parco, potrebbe costituire un ideale completamento dell’area. Magari questa struttura, modellata più o meno sulle attività ospitate dal comprensorio di San Giovanni a Trieste, potrebbe essere affiancata da un’area ristoro a servizio del comprensorio, anche a prescindere dall’attività teatrale.
E perché non sognare un’altra opera pubblica di spicco all’interno di questo parco, magari un archivio museale dedicato a Franco Basaglia nel luogo dove tutto è cominciato.
L’impianto originario prevedeva oltre alla grande sala della cucina a doppia altezza, gli spazi annessi per il lavaggio, lo stoccaggio e la preparazione dei pasti al piano terra e gli appartamenti del personale del comprensorio al piano superiore.
L’ampliamento e l’innalzamento dell’edificio completati nel 1933 comportò la modernizzazione degli impianti – dei forni e delle celle frigo – e l’aumento degli spazi dedicati alla residenza del personale attraverso la creazione di un secondo piano. Gli appartamenti delle suore e la cappella al secondo piano continuarono ad apparire nelle planimetrie degli anni cinquanta, tuttavia solamente negli anni novanta venne istallato un soppalco in struttura metallica nella sala da doppia altezza per accogliere l’archivio clinico. La chiusura di alcuni fori finestra e la sostituzione di due portoni risale probabilmente agli anni settanta.
Fino all’approvazione del Piano Regolatore Particolareggiato Comunale per l’Ambito di Trasformazione Strategica 5, cioè il parco Basaglia, redatto dallo studio Ianesch e Palozzo nel 2010, la destinazione d’uso è restata di residenza e archivio.
Con il nuovo piano si è passati invece alle destinazioni d’uso che sono state rispettate anche dall’attuale progettazione per il recupero dell’edificio; piano terra – centro diurno, piano primo – degenze, piano secondo – ambulatori.
Al piano terra dell’edificio trovano collocazione gli spazi comuni con l’accoglienza, le stanze per la terapia di gruppo, il refettorio e la farmacia, nonché gli spazi esterni di collegamento con il parco nelle modalità previste dal piano particolareggiato che al
Tema 3 – I padiglioni
(…) prevede la formazione di basamenti dotati di rampe-scale e piani inclinati che assolvono alla funzione di risalita identificandosi, al contempo, come parte integrante del parco.
(S. Ianesch, M. Palozzo. In: P.R.P.C. di iniziativa pubblica AMBITO DI TRASFORMAZIONE STRATEGICA 5, P6-RELAZIONE ILLUSTRATIVA. 5.9 I PRINCIPALI CONTENUTI DI PROGETTO, p. 23)
Questo collegamento al parco è stato compiuto attraverso elementi architettonici esterni all’edificio posti in cortile e sulla facciata principale: il loggiato esterno assolve inoltre alle funzioni di ombreggiamento della facciata sud-ovest dell’edificio e provvede a dare uno sfogo ai vani del secondo piano con un ampio terrazzo. Questo veliero emblematico marca l’ingresso principale dell’edificio rendendolo riconoscibile.
Al primo piano trovano spazio le stanze di degenza con i relativi servizi igienici e le funzioni sanitarie quali il coordinamento infermieristico e una stanza per le riunioni o i primi colloqui, l’infermeria, la tisaneria, il day-hospital, spogliatoi e magazzini per la biancheria, ecc. E’ stato mantenuto, anche su indicazione della Soprintendenza, il vano a doppia altezza, che permette l’interazione con il piano terra, mentre il soppalco e l’ascensore assolvono alle necessità logistiche di collegamento delle ali e l’accesso ai vari piani.
Al secondo piano si trovano le stanze dei medici, della psicologa, della direzione e degli assistenti sociali, la sede dell’associazione dei familiari e gli uffici del Dipartimento di Salute Mentale.
Al piano seminterrato, raggiungibile anche con l’ascensore, trovano posto al lato sud una sala polifunzionale dotata di uscita esterna, adatta a piccole conferenze o proiezioni di film, e una sala musica, mentre il lato nord ospita vani tecnici, magazzini e il locale caldaia.
L’intervento nella sua globalità è stato un recupero, non un puro restauro e non una radicale ristrutturazione, ovvero un ponderato amalgamare di tecniche provenienti da discipline diverse.
Recupero significa adeguamento rispetto alle nuove destinazioni d’uso di cui prima e agli spazi per essi necessari; significa adeguamento rispetto alle prestazioni richieste alle strutture, le compartimentazioni, vani filtro ed aerazioni, porte tagliafuoco e materiali conformi al progetto di prevenzione incendi; significa dover trovare posto per l’istallazione di impianti adeguati; significa il restauro e il completamento di un apparato decorativo in parte o in toto compromesso, insomma bisogna continuamente trovare soluzioni funzionali.
Alcuni esempi: Il rifacimento della copertura è stato eseguito impiegando tegole di recupero e utilizzando alcuni comignoli come terminali degli impianti, mentre la lattoneria è stata restaurata. Le facciate sono state riparate e ritinteggiate, le tavelle decorate di sottolinda sono state rifatte con tecniche analoghe e i serramenti esterni sono stati restaurati e, ove mancanti, ricostruiti, dotati di vetri di sicurezza e di vetrocamera. Gli infissi interni sono stati ricuperati, restaurati e ricollocati ove possibile per mantenere il carattere estetico degli spazi. Le scelte cromatiche del progetto di restauro sono confluite in un progetto cromatico globale anche per gli interni e le parti di nuova realizzazione, le quali rimangono sempre chiaramente distinguibili dalle pre-esistenze restaurate.
Gli elementi nuovi sono ovviamente il loggiato esterno e quello interno del soppalco sul vano a doppia altezza, eseguiti entrambi nelle medesime materialità, distaccato fisicamente dall’edificio il primo e ruotato il secondo.
L’Associazione Temporanea d’Imprese, che ha provveduto ad eseguire quanto elaborato nel progetto e nelle sue varianti, nelle minute e negli ordini di servizio impartiti dal direttore dei lavori, ma soprattutto nelle soluzioni trovate dialogando in cantiere.
L’impresa Vallecostruzioni, capogruppo, l’impresa Masoeurope ed Elettronova, mandanti, nonché subappaltatori, che sono stati tutti di una correttezza, disponibilità e precisione nell’esecuzione tale da aver permesso la conclusione dei lavori.
Si ringrazia il team medico-infermieristico per il tempo che ci hanno dedicato in innumerevoli incontri durante tutte le fasi della progettazione e i sopralluoghi durante la fase realizzativa, dando preziosi spunti per affinare il risultato.
Si ringrazia la Stazione Appaltante nelle figure dei RUP che si sono succeduti: l’ing. Massimilliano Bressan, l’ing. Renzo Puiatti, l’ing. Debora Furlani e l’ing. Fabio Spanghero.
Si ringrazia particolarmente la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia per i fondi messi a disposizione, iniziali e quegli aggiuntivi, che hanno permesso il completamento dell’opera.
Dopo centinaia di decisioni prese per tradurre al meglio i concetti di cui ho cercato di dare una panoramica generale, spero che la costruzione, oltre ad assolvere ai compiti funzionali e di sicurezza, crei anche l’atmosfera giusta per le nuove funzionalità sanitarie.
Nella progettazione di quest’opera pubblica, intesa come progettazione per il bene comune, è stata condivisa dai vari attori la formula fondamentale, che il malato, come chiunque altro e forse più di tutti, abbia un diritto alla bellezza intesa come qualità architettonica e che questa bellezza possa contribuire alla cura.
Voglio credere che la bellezza dei luoghi, l’armonia della costruzione, la proporzione tra ordine e movimento contribuiscano alla terapia e alla guarigione di chi è sofferente nell’anima.
Spero di consegnarVi oggi non solo un edificio funzionante, e non è poco, corredato di una documentazione che ne attesta la sua esecuzione secondo la normativa vigente nei vari campi di competenza – edilizio, strutturale, impiantistico – ma anche un pezzo di architettura che ha la sua magia e che nel suo porsi onora gli avi e rispetta i posteri. Onora il vincolo d’interesse culturale conservando il conservabile, trasformando però questa eredità in qualcosa che possa continuare ad esistere ed essere usato, poiché solo usando gli edifici li possiamo preservare dal degrado.
Ovviamente con la trasformazione appena compiuta dell’ex cucina in CSM 24 ore abbiamo lasciato un segno, che porta in sé la nostra visione del mondo di oggi e per farlo non abbiamo consumato nemmeno un metro quadrato di altra terra.“
arch. Martin Hlavacek
dal discorso pronunciato all’inaugurazione dell’edificio
venerdì 30 settembre 2016